Kolgar il barbaro della tempesta.


Prima di lasciare la casa di Elide la mattina seguente decidemmo di fare a pezzi il tavolo del rituale e gettarli nel camino dando loro fuoco. Questo ci avrebbe dato un doppio beneficio: i vicini vedendo il fumo non avrebbero cominciato ad incuriosirsi da subito per la scomparsa della ragazza magari pensando che fosse in casa col suo amante, inoltre avremmo così cancellato le tracce del rituale evitando inutili ulteriori dicerie o allarmismi al paesello.
Dopo aver comprato un po’ di provviste partimmo verso le enormi montagne a nord. Finalmente i temporali avevano lasciato spazio al sole di inizio estate lasciando la strada libera dal fango e permettendo ai nostri mantelli di asciugarsi durante il tragitto: se ci fossimo dovuti inerpicare in cima dove imperversano bufere in mezzo alle nevi perenni sarebbero serviti ben asciutti per evitare di morire assiderati. 
Passate le prime due colline nel primo pomeriggio incontrammo una macchia di alberi molto simile a quella segnata sulla mappa, da lì partiva un sentiero verso est che saliva in mezzo ad un boschetto sul fianco della montagna. La strada principale continuava dritta verso nord fino alla base della catena montuosa. Ricontrollata la mappa prendemmo il sentiero e dopo meno di un’ora di cammino ci ritrovammo sul crinale di una collinetta. Riguardando indietro si riusciva ad intravedere la strada principale che arrivava al paesello di Elide e man mano che lo sguardo si apriva verso sud si riusciva a scorgere una panorama mozzafiato. Tutta la valle a nord della costa della spada era ai nostri piedi, il cielo terso del tardo pomeriggio illuminava perfettamente miglia e miglia di campi e boschi: “avevano scelto proprio un bel posto per passare la loro vita assieme” pensai ad alta voce; Gahan mi guardò con un sorriso triste e mi indicò un punto un po’ più avanti: una piccola casetta in pietra col tetto di legno, da uno dei comignoli un sottile filo di fumo attestava la presenza di qualcuno almeno fino alla notte precedente. Chiamai a gran voce: “Ehi, lì di casa?! Kolgar, ci siete?”ma non ci fu alcuna risposta. Decidemmo di entrare per cercare indizi su dove potesse essere andato: forse a caccia per procacciare qualcosa di succulento da mettere in dispensa in attesa di Elide.
Aprii la porta ed entrando misi il piede in una pozza di sangue, seguendone istintivamente la scia vidi due cadaveri al centro della stanza. Nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo che Gahan con una forte spinta mi butta carponi a terra in mezzo alla pozza. Un istante dopo sento qualcosa che mi sfiora sopra la testa e con un tonfo si pianta nella porta alle spalle di Gahan che si era lanciato di lato. Ebbi a stento il tempo di rotolare portandomi con le spalle al muro che con un lampo un’altra ascia si pianta in mezzo alla pozza dove ero io qualche secondo prima. “Andate via prima che vi annienti come ho fatto con i vostri compari!” questo fu l’urlo gutturale che menò il barbaro prima di pararsi davanti a noi con i suoi due metri e più di muscoli. Coperto con poche pelli di alce ed orso, si piantò in mezzo alla stanza con un’ascia bipenne enorme che maneggiava con facilità. Gli occhi feroci guizzavano sotto lunghi ricci blue. La capigliatura eccentrica, però, non minimizzava assolutamente l’aura minacciosa che avvolgeva la figura imponente.
Fermo, fermo! Non siamo qui per fare del male a nessuno! Cerchiamo Kolgar, il fidanzato di Elide!”, tentai inutilmente di spiegare. “E l’hai trovato!!”mi urlò il barbaro mi si lanciò contro impugnando l’ascia a due mani caricando un colpo potentissimo. Anche stavolta riuscii per un pelo ad evitarlo strisciando leggermente di lato. L’ascia si piantò nella pietra della parete e rimase incastrata un attimo. Quel tempo bastò a Gahan per saltargli alle spalle e stringere il collo del barbaro in una morsa d’acciaio. Con un forte grugnito Kolgar lasciò l’ascia lì dov’era, afferrò un braccio di Gahan e se lo staccò dal collo senza troppo sforzo, con l’altra mano ne afferrò una gamba e lo lanciò lontano da se. Gahan, agile come un gatto, atterrò senza troppi danni su un mobiletto poco lontano fracassandolo. In un attimo Kolgar gli fu sopra caricando una gomitata che gli avrebbe sfondato il carino. In quel momento di apprensione per il mio compagno di viaggio protesi la mia volontà verso il nostro avversario lanciando uno degli ultimi incantesimi che mi aveva insegnato il maestro. Immediatamente il Barbaro si bloccò, portò le mani alle orecchie e cominciò a correre via, fino a che, diversi metri fuori la casa, si accasciò svenuto. Sicuramente Kolgar, accecato dalla rabbia, non aveva avuto la concentrazione necessaria per resistere all’incantesimo e la sua psiche cedette. Gahan ed io ci rialzammo abbastanza ammaccati da quello scontro. Ci avvicinammo al Barbaro che era steso faccia a terra e respirava affannosamente con gli occhi sbarrati. Mi chinai sul bestione e lo tranquillizzai” L’effetto dura meno di un minuto, tranquillo, riuscirai a rialzarti a breve, nel frattempo ascoltaci e magari capirai che forse evitare di spappolarci il cranio con la tua ascia potrebbe convenire a tutti.” Kolgar digrignò i denti come un animale in gabbia, ma non poté fare altro. Continuai dicendo “Non ti leghiamo come ulteriore segno della nostra buona fede, avremmo potuto facilmente ucciderti mentre sei qui steso, quindi, appena te la senti, rialzati, raggiungici in casa e ricominciamo daccapo”. Gahan ed io entrammo in casa ad esaminare i cadaveri, o quello che ne rimaneva. Uno era stato decapitato, ma sull’altro era evidente il tatuaggio degli incappucciati alla base del collo. Dopo qualche minuto sentimmo Kolgar avvicinarsi con passi pesanti e lenti verso la casa, per precauzione preparai la mia balestra e la puntai verso la porta. Gahan era appostato su un lato dell’entrata in posizione di combattimento. Il barbaro con i sue due metri di altezza e gli oltre cento trenta chili di muscoli ben visibili sotto le poche pelli si poggiò alla stipite della porta, spostandosi lentamente una ciocca di ricci blue dalla faccia mi fece cenno di abbassare l’arma e con voce profonda ci chiese: “Chi siete? Che ci fate qui? E come conoscete Elide? M soprattutto dov’è? L’aspettavo ieri ed al suo posto sono arrivati questi due!”. Lo sguardo non era più quello dell’animale feroce, ma trasmetteva apprensione per la sua amata. 
Ci mettemmo comodi su quei pochi sgabelli rimasti sani dagli scontri. Ma Kolgar finì di frantumare tutto il mobilio alla notizie della morte di Elide, pensavo che a momenti buttasse giù la casa, aveva una forza spaventosa che, alimentata dalla rabbia, sembrava amplificarsi in qualcosa di inumano. Dopo che si fu calmato dividemmo le nostre provviste, mentre Kolgar ci versava della birra fatta da lui da un fusto sopravvissuto alla distruzione. Cenammo davanti al camino acceso: lì in collina l’aria era sicuramente più fresca, il barbaro ci spiegò che i venti serali scendendo dal ghiacciaio lasciano questa zona fresca anche durante l’estate più torrida. Gahan, dopo la cena, spiegò al nostro compare la storia di Legione e di Latem e gli chiedemmo come avesse ricevuto il su potere. 
Kolgar ci spiegò di far parte della tribù della tempesta ed è per questo che ha i capelli di questo colore: è il simbolo distintivo di appartenenza. E’ consuetudine, arrivati in età adulta, che tutti i ragazzi della tribù superino la prova rituale della pietra della tempesta. Si tratta di una scalata di alcuni giorni a mani nude per raggiungere un antico tempio di Talos, dio crudele delle tempeste, toccare la sua pietra e non esserne corrotto. Chi resiste al tocco corrotto della pietra perde il colorito naturale dei capelli che diventano completamente blue per sempre. Chi invece cede al lato malvagio di solito impazzisce e si getta giù in preda ad istinti omicidi. Ci descrisse la lunga notte passata nel tempio con mille voci nella sua testa e immagini di potere, gloria e montagne di cadaveri. Lo stesso racconto fece provare dolore anche a noi. In più all’alba, si risvegliò con la pietra stretta tra le mani e quando la riposò si accorse che questa aveva impresso dei strani segni sulle sue mani, come se l’avesse stretta troppo forte e si fossero formati dei coaguli di sangue sottopelle. In quel momento si ricordò parte del sogno, in cui battendo le mani provocava tempeste e tornado che distruggevano intere città. “Ci hai mai provato?” chiesi istintivamente, Kolgar mi guardò come se fossi impazzito. Gahan venne in mio soccorso, mostrando la sua stalattite sul polpaccio ed io feci lo stesso con la scintilla sul mio indice. “E con questi tatuaggi cosa vorreste farmi credere? Che posso scatenare tempeste battendo le mani?” Kolgar scoppiò in una risata grassa e fragorosa che assomigliava al rumore di una frana. Gahan provò a spiegargli che con la meditazione questi poteri potevano essere risvegliati e potenziati. Il barbaro rispose solo con un sonoro rutto! Capimmo quindi che era inutile approfondire l’argomento, ma quella notte riuscimmo ad ottenere l’appoggio di Kolgar alla scoperta dei piani di Latem: “chiunque sia il mandante della morte di Elide dovrà essere maciullato dai colpi della mia ascia!” questa fu la sua unica richiesta “E quando tutto sarà finito andrò a riprendere il corpo della mia Elide così che possa riposare in pace qui, nel giardino di quella che sarebbe stata la nostra casa”. Così il barbaro si accomiatò ed uscì nel bel mezzo della notte con la sua ascia. Lo sentimmo menare colpi agli alberi fino a che non ne abbatté una decina. Poi pare che la sua furia si spense e la notte tornò quieta. I colpi di ascia di Kolgar erano ritmici e la musica cominciò a parlarmi tanto da ispirarmi alcuni versi tristi per quell’amore strappato ancora acerbo dall’albero della vita. Li annotai sul mio libro prima di addormentarmi definitivamente davanti al caldo fuoco del camino.

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