Profumo di bucato fresco


Stesi il mio giaciglio e provai a riposare, ma tra la puzza dei cadaveri dei goblin ed i pensieri vorticosi non lasciarono molto spazio al sonno. Solo a poche ore dall’alba crollai in uno stato di trance. Il sole non era ancora spuntato quando Gahan mi svegliò lanciandomi un pezzo di salame dritto in faccia. “E’ ora di colazione” disse freddamente, quasi stufo. Inutile fu il tentativo di spiegargli che ero abituato a ben altri ritmi:” ehi, io l’alba la vedevo solo prima di andare a dormire, non certo appena sveglio se non quando mi tocca fuggire da qualche marito geloso”. Non gli strappai nemmeno un sorriso, aveva già lo zaino pronto quando io riuscii ad addentare il salame. Mi misi in marcia dopo pochi minuti, avevo preso un altro paio di salami e formaggi dalla dispensa, tanto i ladri, per il fattore, erano già stati giustiziati!
Ad est la nebbiolina del sottobosco veniva scacciata dal sole di inizio estate, ma a nord, in lontananza nella spianata di fronte a noi, si intravedevano nuvoloni carichi di pioggia.“Sicuramente qui i goblin non hanno trovato resistenza e hanno fatto i porci comodi loro, quei bastardi!” Gahan non si degnò nemmeno di guardarmi e proseguì col suo incessante passo, lo raggiunsi e mi ci parai davanti: ”davvero non vuoi nemmeno passare a vedere se ci sono sopravvissuti o feriti? Ma vivi su questa terra o sei solo di passaggio?”.
Il contrasto tra la luce dell’alba e il grigio del cielo davanti a noi trasformò la pianura in un caleidoscopio di colori in chiaroscuro. Avrei voluto fermare quell’attimo per goderne più a lungo e lasciarmici ispirare, ma Gahan aveva un passo più adatto ad una marcia serrata che ad una gradevole passeggiata nelle campagne, quindi distolsi lo sguardo da quel panorama singolare e mi affrettai a raggiungerlo. Dopo oltre un’ora di silenzio cominciai a suonare la mia armonica, in automatico, come sempre. Nemmeno l’occhiataccia del mio compagno di viaggio mi fece smettere, il rapporto con la musica era troppo importante per me, inoltre mi aiutò a prendere il giusto ritmo per non rimanere indietro. Verso metà mattinata intravedemmo del fumo provenire da una fattoria a poche centinaia di metri dalla strada, continuando capimmo che l’intera casa era andata a fuoco e bruciato completamente durante la notte.
 “Pur se ci fosse stato qualcuno sarà morto da un pezzo oppure certo non potremmo risolvere alcuna ferita grave, la mia missione è più importante dell’anima di qualche contadino, proseguiamo, avanti!” Il tono di Gahan era freddo e le sue parole sembravano sincere, ma certo non potevo essere d’accordo. Non diedi ulteriori spiegazioni, mi girai in direzione del fumo e accelerai il passo. Arrivato alla fattoria ispezionai le macerie rimaste, quei pochi animali non sgozzati dagli assalitori erano fuggiti lontano, le tracce nella cenere erano ben visibili. Chiamai a gran voce aspettando risposta da qualcuno, ma nulla. Mi addentrai anche tra le assi bruciate, ma non c’era traccia di alcun cadavere. Feci un secondo giro per essere sicuro, poi mi avviai verso la strada sicuro di aver fatto la cosa giusta e rincuorato dal fatto che il prezzo per quello scempio era stato pagato con la vita. In lontananza vidi Gahan che mi aspettava seduto sul ciglio della strada, quando arrivai abbastanza vicino si alzò e si incamminò di nuovo verso nord col suo passo insostenibile, ma almeno mi aveva aspettato.
Per fortuna quella giornata i nuvoloni ci risparmiarono, ma i restanti 5 giorni di cammino sulla strada che attraversava le campagne verso nord furono costellati da fortissimi temporali estivi. Più volte avevo proposto di chiedere ospitalità presso una delle sporadiche fattorie, almeno per trovare riparo durante la notte, ma non ci fu modo di convincere Gahan. La sera del sesto giorno arrivammo in una piccola cittadina, credo l’ultimo baluardo della civiltà prima dei villaggi dell’estremo nord.

Trovare un taverna non fu difficile, era l’unico edificio a due piani in tutto l’agglomerato e stava nell’unica piazza del paese: un cerchio di terra battuta che, dopo queste giornate, era diventata una piscina di fango. Prima di entrare, Gahan mi disse solo quattro parole: ”Evitiamo di farci notare” furono le prime di tutto il cammino. Troppo stanco per ribattere e troppo felice di poter dormire con un tetto sotto la testa con un cenno d’assenso aprii la porta di quella che si rivelò una delle bettole peggiori che avessi mai visitato!.
L’aria era piena di fumo del camino che non tirava, il bancone era una lunga tavola di legno poggiata su due barili, in un angolo c’era una cucina improvvisata con due fuochi e su uno di questi c’era un paiolo completamente annerito dalla fuliggine da cui usciva un vapore grigiastro. I tavoli erano casse di legno da traporto coperte da degli stracci che, un tempo, dovevano essere tovaglie, i presenti sembravano quadri in bianco e nero di anziani sopravvissuti alla peste bubbonica. “Quanta allegria” sussurrai con un soffio, ma Gahan mi sentii comunque e mi lanciò la solita occhiata severa. Ci sedemmo ad un tavolo defilato e subito una donnona dall’aspetto unto ci portò due boccali di birra annacquata. “Volete anche da mangiare?” ci chiese distrattamente “Abbiamo solo stufato di rape nere e gallina, se lo volete datemi 2 monete d’argento a testa subito”. Gahan non fece nemmeno il gesto di mettere mano al borsello, se mai lo avesse, quindi mi tocco pagare, mentre cercavo i soldi contanti chiesi anche se ci fosse possibilità di dormire e la risposta fu secca: ”quando vanno via tutti per un’altra moneta d’argento a testa potete accomodarvi col vostro giaciglio vicino al camino, ma domani all’alba dovrete andarvene”. Diedi direttamente tutte le monete necessarie per cena e “alloggio”, se così vogliamo chiamarlo. Avrei provato a tirare sul prezzo o ad offrire i miei servigi di cantore al posto del pagamento, ma, tra le occhiatacce di Gahan e la strana angoscia che si respirava in quella sala, non ci provai neanche. In qualche minuto arrivarono due scodelle fumanti e una bella pagnotta di pane duro di almeno una settimana, il tutto senza nemmeno un sorriso d’accompagnamento. “Che triste la vita del viaggiatore che non deve farsi notare, io ero abituato a tutt’altro, anche perché, se la gente non mi avesse notato, probabilmente sarei finito ogni sera con pancia e letto vuoti” confidai a Gahan, che però non accennò alcun sorriso, ma mi rispose “Nel monastero dove sono cresciuto, la vita non va sprecata per cercare il riconoscimento degli altri ed il pane lo ci si guadagna col sudore della fronte. Lo spirito si innalza con la meditazione non certo con storielle o musiche che raccontano frottole o storie assurde.”
Eh no caro mio” dissi abbastanza alterato “io non giudico la tua vita, ma tu nemmeno puoi permetterti di denigrare quella di chi ispira il prossimo e si sforza di allietare gli altri, l’impegno non è banale! Entrare in sintonia con un pubblico diverso ogni sera, cercando di capire bisogni e desideri, consuma sicuramente più energie che rimanere imbambolato ore alla ricerca della forza interiore. La forza è nella bellezza di ciò che abbiamo intorno!” Non mi ero accorto di aver alzato la voce, ma quando lo feci era troppo tardi. Un silenzio tombale era sceso in sala e tutti mi guardavano con uno sguardo pieno di tensione, fortunatamente ero abituato a uscirmene da situazioni simili, sfoderai il sorriso più sciocco possibile, incrociai gli occhi e con un sonoro singhiozzo mi misi in piedi ed alzai il boccale “Evviva le donne ed evviva la birra che ce le fanno dimenticare!” esclamai biascicando ogni consonante “facciamo un brindisi brava gente!”. Di colpo la tensione negli sguardi puntati addosso a me si sciolse e nessuno più fece caso a noi. Per terminare la parte, buttai giù il boccale in un sol sorso e mi risedetti goffamente sulla sedia. Dopo una veloce occhiata in giro con un occhiolino confermai a Gahan che il mio diversivo aveva funzionato. Lui fece un semplice cenno e si rimise a mangiare. Ed anche per quella sera qualsiasi possibilità di conoscere il mio compagno di viaggio svanì.
La sala si svuotò lentamente, ma non troppo tardi. Dopo poco, come promesso, la donnona ci fece spazio vicino al camino, buttò qualche ciocco nel fuoco e ci ricordò “prima dell’alba smaltite la sbornia e sloggiate”. Gahan non srotolò nemmeno il giaciglio, si mise a gambe incrociate e prima di chiudere gli occhi per la sua meditazione mi disse che l’altro frammento non era troppo lontano, ma domani sicuramente bisogna muoversi presto per evitare di arrivare all’imbrunire sul passo e rimanere bloccati lì per la notte: anche se ‘destate sarebbe stato difficile sopravvivere all’addiaccio. Non ebbi le forze nemmeno di pensare alla scalata estenuante che ci attendeva domani, mi stesi sul giaciglio e mi lasciai ipnotizzare dalla danza delle fiamme e delle ombre generate sul soffitto della locanda.
Fu un sonno agitato, forse per lo stufato o per lo strano pizzicore che sentivo su tutta la mano dove la scheggia quasi vibrava, ma il risveglio lo fu ancora di più. Gahan mi scosse delicatamente mettendomi subito una mano sulla bocca per evitare mie lamentele. I ciocchi di legno nel camino non erano consumati nemmeno per la metà: non poteva essere già mattina. Infatti Gahan mi aveva svegliato perché qualcuno era entrato in taverna dalla porta posteriore, uno spiffero gelido arrivava chiaramente da quella direzione. Gahan mi tolse la mano dalla bocca e si rimise in posizione di meditazione, ma con gli occhi mezzi aperti e tutti i muscoli pronti allo scatto per difendersi, io sfoderai semplicemente i pugnali e li incrocia sul petto sotto la coperta tenendo gli occhi semichiusi.
Un’ombra si avvicinava nel buio del retrobottega ed il vento portò il suo profumo di bucato fresco prima che si facesse vedere. Era sicuramente una donna quella che si muoveva maldestramente nella penombra e si fermò a debita distanza da noi osservandoci attentamente. La luce del camino non le illuminava bene il volto, ma si rifletteva vivace sui suoi capelli biondi lunghi. Diede un’occhiata in giro come per essere sicura che non ci fosse nessun’altro in taverna e poi sussurrando ci chiamò: “Ehi, stranieri, state dormendo? Ho bisogno del vostro aiuto, vi prego non urlate, ehi?!”

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