Un nuovo piano e nuovi poteri.
Riamprii gli occhi nel buio di
una cella risvegliato dal clangore di catene e le urla di Kolgar che urlava il
mio nome: “Ivellios sei sveglio? Alzati,
in fretta! Stanno arrivando!” La
poca luce che filtrava dalle fiaccole del corridoio mi mostrò il barbaro
incatenato mani piedi e collo alla parete di fronte la mia. La vista ancora
appannata ed il sapore di sangue in bocca mi riportarono alla mente le parole
del maestro di Gahan, dopo di quelle solo un flash di tre monaci lanciati verso
Kolgar con le armi spianate e Gahan lanciato verso di me per spingermi di lato
prima che un bastone mi centrasse alla base del collo facendomi perdere i
sensi. “Muoviti! Fa qualcosa, prepara un
incantesimo, trancia queste catene con un canto, inventati qualcosa
menestrello! Stanno arrivando sicuramente per finire il lavoro! Non so perché
siamo ancora vivi, ma se non mi liberi lo saremo ancora per poco!” Kolgar
continuò ad incitarmi mentre tentava di staccare le pesanti catene dalla
parete. Provai ad alzarmi, ma scoprii di essere anche io incatenato strettamente
al pavimento tanto da riuscire a stento a stare seduto. Guardai Kolgar fisso
scuotendo leggermente la testa, provai a parlare, ma non riuscii ad emettere
alcun suono. “Cosa diavolo hai?! Sembri
un maledetto pesce!! Diavolo! Sono qui!” Il Barbaro si volse verso il
corridoio e la porta fatta di sbarre della cella. Provai un forte dolore alla
base del collo quando mi volsi in quella direzione, segno che il colpo
assestatomi doveva essere stato dato con molta forza, non solo per stordirmi.
Forse veramente ci volevano morti! Gahan arrivò di fronte alla cella
accompagnato da altri otto monaci disposti a coppie in due file ordinate alle
sue spalle. I primi due alle sue spalle portavano pesanti catene, gli altri
armi di diverso tipo: bastoni, nunchaku, naginate. Kolgar non riuscì a trattenersi: “Bastardo traditore! Ci hai ingannato!
Dovevi affrontarmi da uomo invece ci hai fatto cadere in un vile tranello!” Gahan
guardò fisso prima me poi il suo sguardo si posò sul barbaro aspettando che
smettesse di urlare e sputare contro i suoi accompagnatori. Provai a fare delle
domande per mettere ordine in quella confusione, ma non riuscivo a parlare. “E’
inutile, la catena intorno alla tua gola è pensata apposta per silenziarti” mi
disse Gahan appena Kolgar cominciò a calmarsi, “E’ una semplice precauzione per evitare di aggravare la situazione in
cui vi ho cacciato. Lasciate che vi spieghi”. Aprì la porta della cella, prese una sgabello e si sedette tra me
ed il barbaro che, incuriosito, riuscì ad acquietarsi ed ascoltare. L’ordine
della Terza Rima, di cui faceva parte Gahan, lo aveva scelto per trovarci e
ucciderci. Negli anni avevano capito che fosse il metodo più sicuro per evitare
il ritorno di Legione e fermare i piani di Latem. Eliminando alla radice la
possibilità che i portatori di seme sviluppassero i propri poteri e si
schiarassero al fianco del lich avevano mantenuto la pace e minimizzato il
rischio di cataclismi. In pratica l’ordine addestrava i propri guerrieri per
essere pronto ad una eventuale guerra contro l’esercito demoniaco, ma, nel
frattempo, le alte schiere commissionavano omicidi di persone innocenti. Il
tutto giustificato dalla necessità di evitare un male peggiore per tutta
l’umanità. Ma Gahan aveva deciso di non ucciderci per due semplici motivi: il
primo è che anch’egli era un portatore del seme, accolto in fasce dall’ordine
era stato forgiato da mille prove spirituali affinché il suo cuore non potesse
mai cedere al fascino del potere demoniaco. La sua ultima prova sarebbe stata
quella di eliminarci ed era fallita perché in cuor suo sapeva che, nel caso ci
avesse assassinato, si sarebbe visto come carnefice di se stesso per il resto
della sua vita. La seconda ragione, più pratica, era che io gli avevo salvato
la vita e risparmiarmi era un segno di equilibrio: precetto fondamentale
dell’ordine. Aveva quindi deciso di rimettersi alla volontà del suo maestro
perché era sicuro di poter convincere tutti della potenzialità di averci come
alleati invece di vederci come semplici variabili da eliminare. Purtroppo non
aveva avuto nemmeno il tempo di spiegare. Solo dopo averci imprigionato Gahan ebbe
l’opportunità di parlare al consiglio degli alti monaci e avanzare la sua tesi.
Secondo Gahan io mi ero dimostrato onorevole per avergli salvato la vita,
quindi il mio cuore era votato alla compassione, mentre il cuore del barbaro,
traboccante di odio verso chi aveva assassinato la sua amata, non aveva spazio
per altri sentimenti. Solo metà del consiglio accolse con riserva il suo
dubbio, così il gran maestro, che tra l’altro aveva cresciuto Gahan e si era
impegnato in passato ad ucciderlo al minimo dubbio sulla solidità dei suoi
precetti, decise di dare a Kolgar, me e Gahan una possibilità. Avremmo dovuto
superare una prova al fine di dimostrare la tesi del suo pupillo a tutto il
consiglio. Gahan, a quel punto, sembrò molto preoccupato e ci spiegò cosa
sarebbe accaduto di lì a poco. Alla promessa mia e del barbaro di non
ribellarci i monaci entrarono e ci liberarono. Per ordine dell’altra metà del
consiglio fummo portati comunque in catene fino alla sala dove si sarebbe
tenuta la prova. Una sala completamente bianca, dove a stento era possibile
distinguere la fine del pavimento e l’inizio delle pareti. Solo vicino alla
porta c’era una parte di parete colorata di un blu profondo e molto inteso, qui
vi erano tre giacigli e delle cassapanche con viveri per alcune settimane.
Benché Gahan ci avesse spiegato che avremmo dovuto “superare noi stessi” ancora
non ci era chiaro la pratica di cosa avremmo dovuto fare lì. Arrivò il gran
maestro e ci disse “Sarete richiusi in
questa camera per tre mesi, dovrete esercitare il vostro spirito e superare
tutte le vostre incertezze facendo sbocciare il vostro seme. Dovrete
alimentarlo con la vostra volontà e far crescere la pianta robusta e forte
affinché non possa essere mai piegata alla volontà demoniaca. Gahan sarà il
vostro maestro e se anche uno solo di voi fallirà, vuol dire che avrete fallito
tutti ed alla fine vi ucciderò con le mie mani!” Kolgar a quella minaccia
reagì immediatamente o almeno ci provò: il gran maestro menò un singolo colpo
di taglio con una mano in direzione del barbaro e questi fu atterrato e spinto
tre metri indietro come colpito dalla mazza di un gigante delle colline. “Dovrete impegnarvi molto più di così se
volete sopravvivere questi tre mesi” ci derise il gran maestro. “Se doveste dimostrarvi sufficientemente
degni, con Gahan andrete alla ricerca dell’ultimo seme non ancora corrotto e
dovrete provare ad eliminare definitivamente la minaccia o morire provandoci.
In entrambi i casi l’equilibrio sarà mantenuto.” Il gran maestro lasciò la
sala e dopo averci tolto le catene anche gli altri monaci ci lasciarono soli.
Gahan ci spiego meglio la prova: avremmo dovuto affrontare quella stanza
pervasa di spirito.
Lì il tempo quasi non esisteva:
tre mesi equivalevano a tre ore nel mondo reale. La stanza, una volta attivata
dal Ki degli alti monaci, perdeva anche la concezione di spazio e di condizioni
atmosferiche, inoltre poteva simulare tutto ciò che i nostri animi nascondevano:
debolezze, desideri e sogni. Il tutto con un unico scopo: distruggere lo
spirito di chi vi entrava. Ogni sedici ore l’effetto si sarebbe interrotto per
permetterci di riposare. Il primo step per Kolgar e me fu quello di entrare in
contatto con il nostro spirito ed il nostro seme per imparare a richiamarne il
potere. Per me fu abbastanza facile, abituato a richiamare dalla trama il
potere degli incantesimi attraverso la vocazione per l’arte dell’intrattenere.
Kolgar scoprì solo dopo una settimana di poter entrare in comunione col suo
spirito solo attraverso la furia e la collera. Il secondo passo fu quello di
scoprire e dare forma alle diverse potenzialità dei nostri doni. Gahan ci
mostrò i suoi visto che in quella stanza nemmeno Legione avrebbe potuto
rintracciarci: eravamo in pratica in un altro piano dell’esistenza. Con un
minimo sforzo Gahan poteva risvegliare il suo potere, dal tatuaggio della
stalagmite partirono venature marroni-dorate che fasciarono l’intera gamba
rendendola di pietra: in pratica ogni calcio sferrato in quello stato
equivaleva al colpo di un masso che cadeva da una notevole altezza. Impegnandosi
ulteriormente le venature marroni-dorate penetravano nel terreno ed in un punto
scelto dal monaco facevano istantaneamente emergere delle stalagmiti appuntiti
che avrebbero potuto trafiggere uno o più avversari presenti in quell’area. Al
massimo dello sforzo il monaco ci mostrò il limite ultimo sviluppato:
richiamando tutto il suo Ki al grido “Dìzhèn” le venature marroni-dorate eruppero
dalla sua gamba e si infilarono nel terreno creando una crepa lunga oltre dieci
metri e larga circa due. Questa esplosione di potere fece anche tremare tutta
l’area intorno tanto che Kolgar ed io riuscimmo a stento a rimanere in piedi.
Quella dimostrazione di potere ci incuriosì tanto da portare sia me che il
barbaro a scoprire le diverse potenzialità dei nostri semi.
Riuscii a
svilupparne tre forme legate alla potenza del fulmine, mentre il barbaro due
legate all’elemento dell’aria. Era passato solo un mese quando dovemmo
cominciare ad affrontare il terzo step. La stanza generò diverse situazioni da
incubo, a volte ci costrinse ad affrontare prove singolarmente, ma sentendo le
urla degli altri intrappolati nelle loro sfide senza poter far nulla; altre
volte ci costringeva a prove tutti insieme o a coppie: mostri, incubi, paure di
ognuno di noi materializzate. Mi ritrovai più volte nel mio villaggio spazzato
via da carestia e peste oppure da orde di demoni. Sentii gridare più volte il nome
di Elide a Kolgar. Ogni volta che le sedici ore passavano ci ritrovavamo a
consumare un pasto veloce prima di crollare in un sonno inquieto e pieno di
incubi dovuti al forte stress a cui la nostra mente ed il nostro cuore eravamo
sottoposti. Ogni tanto provai a rasserenare gli altri con qualche ballata
armoniosa o divertente, ma le parole mi morivano in gola dopo qualche verso
travolte dai flash delle prove orribili sostenute quel giorno. Tra le poche
parole che ci scambiammo in quei due mesi ci furono quelle sconcertanti di
Gahan che ci raccontò del gran maestro. Pare avesse passato dieci anni all’interno
di questa camera per avere il titolo e ricoprire il ruolo. Nessuno nell’ordine
era mai riuscito tanto e noi, al solo pensiero, non potevamo che rabbrividire e
sognare una morte veloce. Quei due mesi furono strazianti, ma terminarono e
tutti e tre ne uscimmo rafforzati. Il gran maestro rientrò al termine dell’ultimo
giorno e ci chiese di meditare con lui. Sentii il suo spirito irrompere verso
di me ed indagare il mio animo fin nel profondo, provai anche a respingerlo d’istinto,
ma non ci fu nulla da fare, dopo pochi secondi ogni mia difesa mentale o
spirituale cedette. Il tutto durò meno di un minuto. “Aprite gli occhi” ci disse con voce ferma. “Gahan non so come ci sei riuscito, ma hai tirato fuori dal pantano
anche la mente di quel rozzo essere” Kolgar non si mosse, anzi, quasi
accennò un sorriso segno di un mutamento profondo nel controllo della furia per
il barbaro. “Giullare” mi apostrofò
il maestro con fare divertito ”la tua
mente è sottile e forte, peccato che la usi per giochi di parole e
scioglilingua. Dovrai focalizzare di più le tue potenzialità se vuoi tornare
vivo!”. Dopo un minuto di silenzio riprese: “Bene, avete il resto della giornata per voi. Vi aspetto domattina
pronti a partire nella sala grande per darvi istruzioni sul da farsi. Nella
vostra stanza troverete le vostre cose più qualche dono che l’ordine vi mette a
disposizione per l’impresa. Fatene buon uso.” Si alzò e poggiato sul suo
bastone andò via lentamente, prima di lasciare la sala fece cenno a Gahan di
seguirlo e ordinò ad un altro monaco di accompagnarci ai nostri alloggi.
Ritrovai tutte le mie cose, i miei pugnali sembravano risplendere di una luce
diversa, come anche la balestra. La mia armonica presentava dei fregi in
argento a forma di ideogramma che prima non c’erano. Una decina di pozioni blue
era inserita in una bandoliera di ottima fattura. In un raccoglitore c’erano
anche diverse pergamene di incantesimi che non conoscevo e che avrei potuto
studiare durante il viaggio oltre a due nuovi ballate di grande potere che
avrei sicuramente ricopiato sul mio libro. Una tinozza piena di acqua calda e
olii profumati era stata preparata al centro della stanza, mi concessi quel
bagno ristoratore. Fui svegliato all’alba da un monaco servitore che mi portò
un’abbondante colazione a base di zuppa, maiale affumicato e frutta fresca; il
tutto annaffiato da una birra dal colore ambrato e dal gusto amaro ma leggera
che si sposava perfettamente coi sapori del pasto: su questo i monaci erano
sempre stati dei maestri. Kolgar era già nella sala grande quando arrivai. Mi
salutò con un cenno ed un ampio sorriso mentre si rigirava in mano la sua ascia
enorme, anch’essa, come le altre asce da lancio, risplendeva di una luce nuova.
Anche la sua armatura portava degli ideogrammi in argento. Il barbaro sembrava
rilassato e concentrato allo stesso tempo. Gahan arrivò per ultimo direttamente
assieme al maestro e agli altri monaci del consiglio. “Il
quarto portatore del seme è stato catturato ed è ora imprigionato in viaggio
verso Athkatla.
I nostri informatori lo seguivano da tempo, ma gli assassini
della gilda Liteon lo hanno sopraffatto due giorni fa. Lo stanno portando
sicuramente nella loro sede prima di contattare Latem affinchè possa deviare la
sua anima al suo servizio. Dovete recarvi immediatamente lì! Per fortuna loro
sono via terra e per superare i monti a sud a confine con l’Amn ci metteranno
più di voi che utilizzerete una delle navi dei mercanti che ogni giorno partono
da Candlekeep. Abbiamo già organizzato il viaggio e ieri vi ha anticipato un
nostro informatore così che i nostri affiliati lì vi contattino al vostro
arrivo per darvi istruzioni dettagliate sugli spostamenti della carovana.” Ad
un cenno del gran maestro tutti i monaci presenti si dileguarono lasciando tre
piccole sacche con le provviste per il viaggio. Prima di lasciarci il gran
maestro sussurrò qualcosa a Gahan guardandomi fisso negli occhi. Possibile che
il monaco avesse anche altre istruzioni nei nostri confronti?
Ci dirigemmo di fretta verso la
base del monte dove un piccolo battello ci portò al porto di Candlekeep.
Da lì
salimmo sulla Tenebra, un vascello completamente dipinto di nero dalla forma
sottile e con tre alberi. Sulla prua ci accolse la forma in legno dorato di una
donna dalle forme sinuose avvolta in un velo nero. Quella scultura mostrava dei
chiaroscuri impressionanti, quasi come se la donna sotto il velo fosse viva e
le sue vesti si muovessero al vento. Al timone c’era una donna che
rassomigliava molto nei tratti a quella raffigurata sulla prora. I tre giorni
di navigazione passarono tranquilli: Kolgar era sempre intento ad allenarsi,
addirittura qualche volta saliva sul pennone della vela quadra per allenarsi tenendosi
in equilibrio. Gahan sembrava tranquillo, oltre alle sue ore di meditazione ci
trovavamo spesso a chiacchierare sulla storia del suo ordine. Distrattamente
provai a chiedere anche cosa gli avesse accennato il maestro prima di partire,
ma il monaco accenno solo a delle ultime raccomandazioni. Durante il viaggio
riuscii ad imparare i due incantesimi incisi sulle pergamene donatemi dai
monaci ed una nuova ballata da usare durante gli scontri. Di sera intrattenevo
la ciurma con la mia arte in cambio di qualche sorso di buon rum. L’ultima sera
fui ripagato dal comandante stesso che decise di farmi visita in cabina dopo l’ultima
ronda.
Approdammo poco prima di ora di
pranzo; scendemmo dalla Tenebra in cerca di qualcuno che ci indicasse dove
andare, ma nessuno si presentò. Girovagammo un po’ per i moli e fummo colpiti
da un’immagine insolita. Da una delle navi stavano scaricando una bara. Uno dei
marinai intento nello scarico vide Gahan e ci fece cenno di avvinarci. “E’ lui quello che cercate” ci urlò il
marinaio dalla murata destra. Non capimmo subito, ma una volta portata a terra
la cassa, un altro marinaio a terra prese Gahan sotto braccio facendogli le
condoglianze, lo portò vicino alla cassa e ne aprì il coperchio. Era il
messaggero inviato il giorno precedente dall’ordine per avvertire i contatti in
città del nostro arrivo, lo capimmo dallo sguardo atterrito di Gahan. “Ci dispiace tanto” continuavano a dire
man mano gli uomini che scendevano dalla nave “ieri quando abbiamo attraccato nessuno ha fatto caso che non fosse
sceso” ci spiegò il timoniere “eravamo
tutti intenti nelle attività di scarico e carico per poter ripartire oggi. Lo
abbiamo trovato stamattina mentre effettuavano le pulizie delle cabine degli
ospiti. Deve essere morto nel sonno. Volete che lo riportiamo indietro o ve ne
occupate voi?” Gahan sembrava alquanto scosso e poco lucido allora
intervenni “In realtà lo aspettavamo sano
e salvo, avete capito come è morto?”. Il timoniere in difficoltà si
giustificò dicendo che non c’era un medico a bordo e non presentava ferite,
pensavano ad una morte naturale. Allora chiesi la lista dei passeggeri e di
eventuali nuovi membri dell’equipaggio. Il timoniere fu felice di dirci che c’era
stato solo un altro passeggero oltre il monaco e che da mesi non prendevano
nuovo personale sulla nave. Non aveva alcun nome da darci, ma ci fornì una
descrizione accurata. Sembrava uno studioso. Aveva abiti da viaggio in pelle
nera bordati di rosso. Portava con se diversi contenitori per pergamene ed
aveva capelli lunghi corvini e folti baffi. Fumava spesso la pipa che era fatta
di osso e scolpita a forma di teschio di drago. Gahan era ancora imbambolato
allora decisi di ispezionare velocemente il cadavere, non trovai segni di
lotta, ma solo un leggero rivolo di una sostanza biancastra al lati della
bocca, aveva un profumo dolciastro e probabilmente era veleno. Pagammo il
timoniere per il disturbo e affinché rispedisse la salma a Candlekeep con un
nostro messaggio per i monaci. Ora toccava a noi trovare la rete di informatori
della Terza Rima qui ad Athkatla prima che la carovana proseguisse il suo
viaggio portando così un altro servitore a Latem.
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